La serie in onda su Netflix “Wielka woda”, uscita in Italia con il titolo “L’alluvione”, ha riportato la mia mente e quella di tutti i polacchi all’inondazione di Breslavia del 1997. Era luglio e io con la mia famiglia non mi trovavo in città in quei giorni perché ero in vacanza in un lago vicino Legnica dove l’azienda in cui lavorava mia madre offriva il soggiorno ai suoi dipendenti. Ricordo che all’inizio del mese si erano verificate pesanti inondazioni in Polonia e nei paesi confinanti. Morti e danni pesantissimi. Tutto ciò chiaramente ci creava enorme tristezza. Però riguardo al timore che la città di Breslavia potesse essere coinvolta si ascoltavano pareri contrastanti.
Le autorità prima cercarono di rassicurare sul fatto che la città non avrebbe corso rischi poi, mano a mano che arrivavano le informazioni riguardanti i territori vicini e le inondazioni che interessarono vari centri, tra cui Opole, cresceva il timore. Nella maggior parte della gente c’era però ottimismo, perché sembrava impossibile che senza piogge la città potesse finire sott’acqua. Gli allarmi lanciati dal Sindaco e dalle Istituzioni locali e nazionali sembravano più che altro finalizzate a non correre rischi e al massimo si credeva che potessero essere colpite dall’evento le aree rurali all’esterno di Breslavia. Invece il 12 luglio l’acqua arrivò fino in centro. Ne arrivò tanta, tantissima.
Ho tanti ricordi di quei drammatici giorni. Ricordi di cose viste appena tornata in città o di racconti fatti da chi c’era: l’invasione di topi che cercavano scampo dal sottosuolo prima della piena, il livello dell’Oder che saliva e la gente che la osservava dai ponti con stupore, il tentativo di creare argini o barriere da parte dei proprietari che avevano case indipendenti, i familiari ospitati dai propri cari che vivevano ai piani alti dei palazzi. Ricordo la rabbia contro i rappresentati delle istituzioni prima dell’inondazione accusati di seminare inutilmente il panico e poi accusati di non aver fatto abbastanza per evitare la catastrofe. Ricordo però soprattutto la solidarietà della gente, la voglia di agire e di fare qualcosa per aiutare gli altri in difficoltà; la consapevolezza che i bellissimi monumenti della città erano in pericolo e andavano assolutamente difesi, anche a costo di rischiare la propria vita. Sacchi di sabbia ovunque a cercare di arginare l’acqua, come in trincea contro un nemico inimmaginabile.
Era emergenza ovunque. L’Oder non c’era più e quasi metà della città era sott’acqua. Ricordo che la TV cominciò a lanciare allarmi su allarmi e poi a raccontare la cronaca di quello che stava accadendo. La gente si rifugiava sui tetti delle case e chiedeva soccorso agli elicotteri dell’esercito che sorvolavano la città. Le forze dell’ordine, i soccorritori e anche alcuni cittadini che si erano attrezzati giravano per le strade invase dall’acqua con canoe o gommoni. Una scena che si racconta per ricordare quei giorni è il curioso atteggiamento di un ragazzo in canoa che di fronte al rosso di un semaforo, che pur in parte sommerso continuava a funzionare, si fermò e si guardò intorno prima di passare. Purtroppo alla sua destra e alla sua sinistra non c’era nessuno, solo acqua che fluiva inarrestabile.
Ovviamente ci furono quelli che cercarono di arricchirsi alle spalle dei meno fortunati, vendendo a prezzi d’oro bottiglie di acqua minerale, diventate essenziali a causa della chiusura del flusso dell’acqua potabile, oppure gli sciacalli sempre presenti in queste situazioni. Non mancarono neanche le goliardie, come i ragazzi che pur di recuperare qualche bottiglia di vodka si immergevano in acqua ed entravano a nuoto dentro le rivendite di alcolici. L’altruismo e l’eroismo furono però le caratteristiche prevalenti tra gli abitanti. Soprattutto i giovani cercavano di dare un supporto ai più anziani i quali, avendo vissuto tempi bui nel passato, mai avrebbero lasciato le loro proprietà, le loro case, i loro averi. Per questo in gran parte rimasero intrappolati in casa.
Defluita l’acqua passò la paura. Si fecero però i conti dei danni. La città faceva uno strano è cattivo odore. L’umidità era impressionante. C’era tristezza per le quattro vittime, che apparivano persino poche per la portata della catastrofe. La proprietà della mia famiglia non subì danni ma tanta gente aveva perso tutto. Tante abitazioni erano inagibili, seminterrati ancora pieni d’acqua come piscine, negozi distrutti, chioschi spazzati via. Alcuni edifici pubblici erano danneggiati. Grazie all’impegno di tanti però i monumenti principali si erano salvati. Così come gli animali dello Zoo. Ci vollero settimane, mesi perché davvero si tornasse alla normalità. Fortunatamente la città, come sempre è accaduto nella sua storia, non si fermò a piangersi addosso ma reagì, ripartendo, ricostruendo, persino modernizzandosi.
Commenti